Gli assassini del Dio Calcio

Doveva succedere, prima o poi. Al netto dei rumors che da qualche mese giravano sulla creazione della Super Lega dei super ricchi, e che con i comunicati di ieri sera ha trovato la sua ufficializzazione, il “Calcio Moderno” ha trovato il suo punto di caduta finale, la “pistola fumante” che ha assestato il colpo di grazia, alla nuca, al “Dio Calcio”.

UN DEICIDIO ANNUNCIATO

Il “Dio Calcio”: quello che fior di sociologi, storici, psicologi, hanno definito nel tempo: una vera e propria “fede”, declinata differentemente in base alle latitudini, così definita in conseguenza della percezione che i tifosi hanno da sempre del calcio: religione laica e popolare. Amatissima e diffusissima in ogni angolo del globo.

Così è stato per decenni, così non sarà più, molto probabilmente, a seguito di questo vero e proprio deicidio. Una crocefissione eseguita in nome di una divinità più potente, più laida, quasi sempre venerata da loschi figuri, approfittatori, talvolta veri e propri criminali patentati: il “Dio Denaro”.

La creazione della Super Lega su questo si basa: la massimizzazione di profitti in quella che, ormai è certificato in via definitiva ed in totale ossequio alla logica capitalistica, non è più uno sport, ma industria dell’intrattenimento.

Un qualcosa che ha perso sempre più, nel tempo, la sua ragione sociale, il suo dna, le sue ragioni fondative; da fenomeno aggregativo popolare a mera merce da vendere sempre più frequentemente in dosi di vario calibro a prezzi sempre più esorbitanti. Con la conseguenza che il tifoso è diventato cliente, da spremere e basta. I suoi “diritti naturali” passano in secondo/terzo piano. Il tifoso occorre solo nella misura in cui può essere “cornice” di un evento. Sugli spalti si, per qualche inquadratura naif, simpatica magari, giusto il tempo necessario per riempire il “vuoto di azione” sul campo prima di lasciare spazio al “super sponsor”.

Perché ormai da anni, almeno una trentina, il calcio non ha più come target il tifoso, ma il telespettatore. E i ricconi di oggi, i capitalisti senza scrupolo come gli Agnelli i Perez i Glazer – fondatori della Super Lega – non hanno fatto altro che portare a compimento il processo di trasformazione in atto da decenni.

UN ASSASSINIO CHE PARTE DA LONTANO

Come si è arrivati a questo? Perchè?

Il calcio è diventato un mastodonte dai costi insostenibili. E’ un dato di fatto ed è sotto gli occhi di tutti e la complicità di chi oggi si erge a paladino dei valori ancestrali di questo sport, la UEFA e la FIFA, è altresì evidente. Non basta enunciare parole di miele nel comunicato che va contro la Super Lega minacciando sanzioni durissime.

Un punto di partenza di questo declino si può fissare con la sentenza Bosman, che nel 1995 elimina il vincolo e apre al professionismo estremo. Con la conseguenza che nel tempo la voce “costo del lavoro”, ovvero il monte ingaggi, è diventato il nodo scorsoio nel quale le società hanno infilato la testa.

Gli interessi dei procuratori, dei mediatori, degli intermediari, sono cresciuti di pari passo, a dismisura e hanno reso di fatto insostenibile la cosa. Di fatto questo ha portato al collasso economico. Spese enormi per allestire rose ampie e, per chi se lo poteva permettere, dotate di campioni, di top player dall’ingaggio monstre.

La Uefa, la Fifa, le federazioni nazionali però non hanno calmierato la cosa. Hanno sviluppato il prodotto all’estremo. Calendari fittissimi, competizioni infinite, turni preliminari a iosa, nella speranza di poter vendere diritti tv a peso d’oro, da ripartire con gli associati (in modo ovviamente iniquo). Gestire un giro di denaro simile, fa gola. Nel board di Uefa e Fifa, sedere sulle poltrone che contano garantisce un potere enorme. Apre ai più vertiginosi compromessi, a patti fatti anche col diavolo, purché il carrozzone possa andare avanti. Ovviamente sempre più in nome del Dio Denaro e sempre meno in ossequio ai valori dello Sport.

Si è arrivati così anche alla beffa del Financial Fair Play, per evitare (così si diceva) casi di fallimento di società “nobili”. L’effetto che si è avuto è stato il contrario: i ricchi sempre più ricchi e capaci di aggirare il FFP, magari pagando anche sanzioni ridicole per le loro tasche (vedi i casi di PSG e Manchester City), mentre tutti gli altri restano al palo, impossibilitati ad investire.

Ma è stato tutto inutile. Il mostro è cresciuto a dismisura, i costi sono diventati insostenibili anche per società come Real Madrid, Barcellona, Juventus, che denunciano bilanci da profondo rosso. E ora vogliono ripianarli portandosi via il pallone, facendosi un nuovo giochino solo per loro.

ADDIO MERITO SPORTIVO

Io ho avuto la fortuna di vivere e vedere un altro calcio. Certo non era quello dei primordi, ma gli era certamente assai più affine, gli somigliava tanto. Era il calcio di Agostino Di Bartolomei, il mio eroe e Capitano della Roma più forte di ogni epoca. Era professionismo spinto anche a quel tempo, per carità. Faceva clamore lo stipendio di Falçao, il primo o comunque tra i primi a toccare l’ingente somma di un miliardo di lire all’epoca, comunque nulla in proporzione agli ingaggi odierni elargiti anche a carneadi o semipippe buttate sulla ribalta.

Ma quel calcio aveva in se dei valori che pensavamo immutabili. Si basava anzitutto sulla passione vera, vissuta dal vivo e non teletrasmessa, dei tifosi. Ne prevedeva una partecipazione non solo relegata a contorno, ma aveva un afflato sociale assai più permeante. Anche attiva, con gli stadi stracolmi sempre (pure per turni infrasettimanali di Coppa Italia), in grado, talvolta, di condizionare con il tifo l’esito delle partite.

Ed aveva soprattutto la meritocrazia come cardine. Era davvero lecito sognare, sperare, tifare, una Rometta che si trasforma in Magica e apre un ciclo di vittorie che la condurranno ad undici (maledetti) metri dal tetto d’Europa. Si poteva concretamente sperare nel “Miracolo Sportivo”, ovunque: il Nottingham Forest nel ’78, il Leicester, il Kaiserslautern in Bundesliga, il Montpellier nel 2012, il Verona negli anni ’80. Ma anche il Lanerossi Vicenza di “Bomber Luiso” e la “prima” Atalanta forte forte, quella di Stromberg, arrivate in semifinale di Coppa delle Coppe negli anni ’80 e ’90.

Era questo che rendeva UNICO questo gioco: il miracolo sportivo, reso reale per MERITO.

Certo, anche in quel tempo si viveva sull’eterno conflitto tra i potenti e prepotenti che in un modo o nell’altro (talvolta anche illecito) cercavano di garantirsi la fetta più grossa della torta, dei trofei, dei ricavi. Ma c’era sempre quella remota possibilità di scardinare lo schema. Di poter sperare in una giustizia sportiva che sanzionasse comportamenti illeciti e di un “governo” del calcio che potesse, in qualche modo, salvaguardare l’equa competizione.

Accadeva di rado, quasi mai per dirla tutta. Ma c’era questa possibilità.

Con la Super Lega dei super ricchi tutto ciò decade. Non esisterà merito. Esisterà lo status quo, immutabile. Al limite si verrà invitati per fare gli sparring partner, senza nessuna reale possibilità di sognare il Miracolo.

ULTIMA CHIAMATA

Per quelli della mia generazione, ma anche per quelli più anziani, è triste dover considerare la possibilità di veder finire un amore, anzi, una fede. Siamo nati e cresciuti con un calcio che aveva una altro sapore, più genuino, più vero.

La speranza è che questa crisi, questa spaccatura verticale e profonda che si è creata con l’annuncio della creazione della Super Lega, possa ricomporsi e che Uefa e Fifa comprendano che è necessario riformare il sistema, per far si che torni ad essere più gioco e meno industria.

Sgonfiando i costi, imponendo limiti seri, redistribuendo gli introiti in maniera equa. Sanzionando davvero chi sgarra, cercando di riportare tutto ad una dimensione umana, dove tornino davvero a primeggiare valori di socialità, di merito, di condivisione.

Personalmente, ove mai la mia Roma dovesse accettare di far parte della Super Lega, so per certo che la mia indistruttibile fede subirebbe un colpo letale, definitivo. Non riuscirei più a seguirla con lo stesso pathos, con lo stesso afflato. Me ne distaccherei sempre più e andrei a ricercare quei valori e quelle sensazioni altrove, nel calcio minore, in quello locale. Andrei a tifare il Trastevere Calcio, e il mercoledì sera al cinema.

Mi resteranno almeno i ricordi di un calcio che smuoveva passioni ancestrali, popoli interi, genuinamente uniti al seguito di una passione non commerciabile. Almeno non fino a questo punto.