C’è ancora chi se lo ricorda come giocatore e ti dice che è stato uno dei più forti centrocampisti di sempre.
Dotato tecnicamente, in possesso di potenza e precisione nel tiro, instancabile e roccioso ed incredibilmente carismatico, tanto da risultare “naturalmente” destinato ad indossare la fascia: capitano della Svezia finalista e sconfitta in casa nei mondiali del 1958, (quelli che svelarono Pelè all’umanità) e capitano di un grande Milan degli anni ’50, con il quale vinse 4 scudetti in compagnia dei suoi connazionali Gren e Nordhal che con lui formavano il celebre “Gre-No-Li”.
E c’è chi un po’ più giovane se lo ricorda per la carriera di allenatore, soprattutto della Roma oltre che del Milan, considerato da tutti, compresi critica, calciatori e dirigenti, un vero maestro.
Innovatore, importa e riadatta la “zona” olandese e brasiliana nella serie A italiana, ancorata ai concetti della sparagnina marcatura ad uomo, siede sulla panchina giallorossa a più riprese, ma il periodo che rimane indelebile nella memoria di chi ha avuto la sorte di viverlo, è quello che va dalla stagione ’79-’80 alla ’83-’84, dove grazie al connubio con l’altrettanto amato ed indimenticabile presidente Dino Viola, “libera i romanisti dalla prigionia del sogno”.
Nella capitale si impone vincendo uno Scudetto e tre Coppe Italia, oltre alla finale di Coppa dei Campioni del 1984, dove solo i rigori e la sfortuna gli hanno impedito di raccogliere la meritata consacrazione al massimo livello di una carriera, anche da allenatore, brillantissima.
Più di tutto, ha reso la Roma davvero “magica” con un gioco spumeggiante e che ha fatto innamorare una generazione intera.
Ma al netto delle considerazioni tecnico tattiche, Nils Liedholm resta indelebile nella memoria collettiva per la sua figura sempre signorile (di qui il soprannome “Barone”), pacata ma solare, ironica e “aperta”, costantemente prodiga di battute, frasi diventate celebri, ed una aneddotica infinita, spesso autoprodotta, come quando ebbe a dire: “Un giorno a San Siro tirai fortissimo, colpii la traversa e il pallone ritornò nella nostra area”.
O ancora: “Il possesso di palla è fondamentale: se tieni il pallone per 90 minuti, sei sicuro che l’avversario non segnerà mai un gol” poi tradotto in campo con la famosa “ragnatela” di passaggi, antesignana del tiki taka di Guardiola.
Passando poi per la sua irremovibile scaramanzia che imponeva consultazioni col “mago” Mario Maggi, un astrologo del varesotto al cui cospetto, in più di qualche occasione, ha condotto l’intera squadra per trarne beneficio.
Un’esistenza che potrebbe essere racchiusa in una enciclopedia, che vale la pena sempre di essere ricordata anche solo ascoltando gli aneddoti riportati da giornalisti, calciatori e dirigenti che hanno avuto a che fare con il grande “Liddhas”.
A noi spetta celebrare ed onorare la sua memoria, magari sorseggiando un bicchiere di “Grignolino” prodotto nella sua tenuta di Cuccaro Monferrato, dove si ritirò al termine della sua carriera e dove si è spento troppo presto il 5 novembre del 2007, lasciandoci tremendamente nostalgici della sua imponente, bonaria, magica persona.