ESCLUSIVA – D’Agostino: “Fonseca ha tutelato il gruppo. Che lite Panucci-Samuel”

Oggi, durante la nostra trasmissione Cor core acceso – romatube.it, abbiamo avuto il piacere di intervistare Gaetano D’Agostino, attuale allenatore del Lecco. L’ex calciatore di Roma e Udinese ha trattato diversi argomenti. Dall’andamento in campionato della sua squadra alla questione tra Dzeko e Fonseca, fino ad un aneddoto di Lecce-Roma, dove ci furono due difensori protagonisti nello spogliatoio. Queste sono le sue dichiarazioni:

Come va questo campionato?
“Bene dai, abbiamo vinto il derby con il Como 4-0 in casa. Siamo onorati di essere entrati nella storia del Lecco perchè non era mai successo, abbiamo vinto due derby in campionato, 3-0 e 4-0. Siamo imbattuti nel 2021 e dobbiamo continuare così. Il nostro obiettivo che ci siamo posti è quello di cercare di fare i playoff in una posizione di vantaggio”.

Si aspettava questa risposta nel derby dai suoi ragazzi?
“Sono abituato sia da giocatore che da allenatore ad affrontare dei derby. A Francavilla, nel primo anno di Lega Pro, tra Monopoli e le altre squadre della Puglia avevamo 5 derby. Ogni domenica era quasi un derby. Poi ho fatto da giocatore Reggina-Messina, un derby sentitissimo. E ho fatto Roma-Lazio, il derby è sempre affascinante. Derby del cuore? Nel podio c’è il derby vinto 4-0 con il Como. Poi c’è Reggina-Messina perchè vincemmo 0-2 e feci anche gol, derby storico che rimarrà sempre nel mio cuore. E poi Roma-Lazio 1-1 quando entrai io nel secondo tempo e Totti fece gol su rigore e andò a fare il cameramen nell’esultanza”.

Fonseca con i recuperi di Pellegrini e Pedro ha abbondanza in attacco. Lei chi metterebbe davanti contro l’Udinese?
“Io metterei sicuramente Pellegrini e Borja Mayoral perchè l’Udinese è una squadra fisica e c’è bisogno di giocatori bravi nello stretto, inserirei anche Pedro. Se la Roma la mette sul piano fisico l’Udinese è attrezzata. Bisogna essere bravi nell’attaccare gli spazi e negli uno contro uno. Dzeko lo farei entrare dopo perchè Borja Mayoral dà meno punti di riferimento”.

La questione Dzeko-Fonseca lei da mister l’avrebbe gestita alla stessa maniera?
“Dipende dall’interno cosa è successo, da dove è scaturita la diatriba tra i due. Bisogna capire nel profondo cosa è successo. Io mi ricordo una frase di Fonseca che ha detto “Io devo tutelare il gruppo e non il singolo”. Su quella frase ho capito che il tecnico portoghese ha agito bene. E’ anche un segnale. Perchè è facile prendersela con Bruno Peres, faccio un nome a caso, che magari non è il più carismatico o il più blasonato all’interno dello spogliatoio. Quando c’è una diatriba tra l’allenatore e il giocatore più rappresentativo, secondo me può fare anche bene agli altri che tra virgolette si sentono meno importanti. Significa che il mister ha personalità. Dare una scossa ogni tanto fa bene. Senza Dzeko i giocatori hanno risposto bene, Mayoral ha risposto bene. Non è che l’hanno patita. Se l’allenatore e il giocatore più importante litigano e il tecnico agisce in maniera contraria, gli altri trenta cosa possono pensare? Che il mister non ha personalità. L’allenatore deve agire sempre con autorevolezza e non autorità, ma a volte deve far rispettare il suo ruolo e la responsabilità che porta, perchè di sicuro è maggiore rispetto ai giocatori. Si parte sempre dal presupposto che chi ne paga le conseguenze per primo è sempre l’allenatore. Lo spogliatoio per me è sacro, ma se è successo questo significa che c’era qualcosa di più serio di una semplice scaramuccia. Quando un giocatore viene messo fuori dal “contesto squadra” qualcosa è successo, inutile negarlo. E quindi l’allenatore deve prendere dei provvedimenti”.

È giusto ridare la fascia a Dzeko o meglio continuare con Pellegrini capitano?
“Se le cose si rimettono al posto giusto e si ritorna a lavorare come prima, io ridarei la fascia a Dzeko. Non è un ragazzino, ha più di 500 presenze. Se la cosa è chiarita, bene. Sennò dai il segnale di un raffreddamento ‘Dzeko serve alla squadra però la fascia non te la diamo’. Allora là dai un segnale che la questione non è chiarita del tutto ma ci sono ancora degli strascichi. Dzeko non deve dimostrare niente a nessuno. Se la cosa è chiarita ed entrambi tornano sui loro passi, dovrebbe tornare tutto come prima. Questo è un altro segnale che la Roma deve dare all’esterno. Se la fascia torna a Dzeko vuol dire che è tutto chiarito, altrimenti c’è ancora qualcosina che non va. Significa che Dzeko deve ridimostrare l’attaccamento alla maglia. Secondo me il bosniaco non è un ragazzino, si parla di due uomini che hanno una grande personalità e quindi la fascia dovrebbe tornare a lui, se tutto è chiarito”.

C’è un giocatore dell’Udinese che meriterebbe una piazza più importante?
“Rodrigo De Paul è un giocatore importante. Cito sempre lui, perchè due anni fa dicevo che non era ancora pronto per fare il salto in una grande squadra. Adesso ha completato la maturità da giocatore completo. È un giocatore importante, sa fare le due fasi, fa tutto bene. È migliorato anche in fase realizzativa. Poi c’è Deulofeu che è un rompiscatole, attacca bene gli spazi, bravo nell’uno contro uno. Diciamo che è il Pedro della Roma, un peperino”.

Musso potrebbe essere il portiere della Roma?
“Musso è un portiere forte. Occhio all’Inter anche perchè Handanovic viene proprio dall’Udinese, adesso sta andando verso i 37 anni. Secondo me Musso ha addosso anche gli occhi dei nerazzurri”.

Come ha vissuto il mancato trasferimento al Real Madrid?
“L’ho vissuto male, perchè era una favola, il coronamento di un sogno. Quell’anno lì ero il centrocampista più prolifico in Europa con 12 gol. Avevo già raggiunto l’accordo personale con il Real Madrid, ma non trovarono l’intesa l’Udinese e il Real e sfumò tutto. L’ho pagata umanamente. Era sfumata la settimana prima la Juve e poi ti vedi sfumare il Real Madrid che è la squadra più importante al mondo. Non ho perso la fiducia ma ero arrabbiato con il mondo, perchè non dipendeva da me la scelta. Se il mio futuro dipende dal sì o il no degli altri, la prendo come un’ingiustizia. Perchè lì si parlava di qualche milione di euro e non si sono soffermati sul coronamento del sogno di un giocatore che è partito dal basso, era nel giro della Nazionale. Andare al Real Madrid mi avrebbe cambiato totalmente la carriera, non nascondo anche dal punto di vista economico. Il salto di qualità era dieci volte di più, con tutto il rispetto per l’Udinese che porterò sempre nel mio cuore. Dall’Udinese al Real, pensate che salto avrei potuto fare. L’ho pagata, però mi ha rafforzato da allenatore. Dico ai ragazzi di crederci e di non permettere a nessuno di intralciare il loro cammino, dipende solo da voi. Io stavo toccando il cielo con un dito ma non ci sono riuscito. Io sto studiando, ho tanta fame. Mi sono fatto una promessa: da allenatore vorrei togliermi più soddisfazioni di quando ero calciatore, anche se ho fatto una buonissima carriera. Vorrei fare una carriera migliore da tecnico rispetto a quando giocavo. Allenare il Real Madrid? Il sogno c’è, soprattutto in questo momento sognare ci rende ancora più vivi. E io sogno, perchè no?”.

4 aprile 2004, Lecce-Roma 0-3. Che ricordi ha di quella partita?
“Era l’anno in cui Capello mi mise titolare, credo feci 14 o 16 partite da titolare, poi arrivammo secondi perchè perdemmo 1-0 a Milano. Ho un ricordo bellissimo di quella partita. A fine primo tempo eravamo sopra 1-0 ma avevamo subito un po’. Ci fù un litigio tra Panucci e Samuel dentro allo spogliatoio. Litigare con Samuel non era mai piacevole, quando si arrabbiava The Wall. Avevano due bei caratteri lui e Panucci, ma vi posso garantire che Samuel aveva qualcosa in più sul piano fisico (ride, ndr). Capello si arrabbiò e io in quel momento pensai che avrebbe tolto me, perchè mi trovavo in mezzo a loro due nella discussione. Invece no, se non mi sbaglio non fece rientrare in campo Panucci. Poi vincemmo la partita e io fui anche l’artefice dell’assist e del gol con deviazione di Bovo. Io feci un cross verso la porta e lui la spinse dentro, era più un autogol. Poi segnammo anche il 3-0. Quella stagione è qualcosa di indelebile. Io ripercorrendo il mio cammino con la Roma, nel 2004 ero stato protagonista, fare 16 partite a 21 anni in una squadra che deve vincere il campionato con mister Capello e quei campioni lì. Poi nel 2005 è successo quello che è successo. Il sogno mio era fare tanti anni alla Roma e poi si presenta quell’annata lì con Prandelli, Delneri… È successo un casino. A gennaio sono stato costretto ad andare al Messina. Fai 16 presenze e arrivi secondo, vieni dal settore giovanile giallorosso. Il sogno era finire la carriera alla Roma e invece l’anno dopo è successo un casino e sono dovuto andare via”.

Nel 2005 vennero cambiati tanti allenatori. In quell’anno ci furono tante pressioni su Bruno Conti, che poi non è più andato su una panchina…
“Bruno era la leggenda del settore giovanile. Lui mi prese quando avevo 12 anni e mi portò a casa sua con Andrea e Daniele. Per me è stato come un secondo papà in quegli anni. Lui amava lavorare con i giovani. Adesso è tornato e sono contento per lui, l’ho chiamato quando ho saputo la notizia. Lui ha vinto tutto ed è stato quello che ha formato più giocatori nel settore giovanile della Roma. Fare fuori Bruno Conti vuol dire fare fuori un’icona e un punto di riferimento per i giovani”.

La vecchia proprietà non ha gestito al meglio la questione. Le uniche cose del settore giovanile che non avrei toccato sono Bruno Conti e Alberto De Rossi…
“Sono perfettamente d’accordo. Mio figlio ha fatto un anno alla Roma, era il suo sogno andare a Trigoria. Dopo un anno che non c’era Bruno Conti l’ho tolto. Ritornare a Trigoria, vedere quel paradiso e vedere che sembravano, con tutto il rispetto, dei ‘man in black’. Io ho visto delle partite dei 2008 e dei 2009 con 10 persone in giacca e cravatta a seguire la partita. Quando c’era Bruno Conti, solo lui seguiva i ragazzi, faceva parte di quel gruppo. Io sono rimasto scioccato nel vedere i bambini di 10 anni già con la pressione addosso di dover vincere o dover dimostrare. Si sta tralasciando quello che è il gioco del calcio, il divertimento del bambino, la spensieratezza. Con la spensieratezza il bambino cresce, con l’oppressione di dover per forza dimostrare, il bambino lo soffochi. Poi molti bambini nella fase di sviluppo perdono l’entusiasmo e mollano. E non diciamo che in Italia i talenti non ci sono. Bastoni, ad esempio, è uno dei migliori difensori italiani. C’è Barella, i giocatori forti ci sono in Italia. Bisogna avere le competenze e chi li allena da piccoli deve lasciargli la fantasia, l’estro di esprimersi. Non bisogna soffocare i bambini, con i due tocchi, giocare semplice. I bambini non sono ancora pronti. Quando sento che i giocatori non dribblano più non è perchè non sono capaci ma sono stati abituati a giocare a due tocchi. Noi giocavamo per strada. Io mi ricordo che dovevi guardare la palla, le macchine che passavano e l’avversario. Alleni tante cose. Il fatto che adesso non ci sia più il parco e le strade dove giocare, almeno sul campo fateli divertire”.

Ci vorrebbero più Bruno Conti nel mondo del calcio…
“Il mio sogno è rivedere nei settori giovanili più Bruno Conti”.